domenica 28 settembre 2008
Le Camere del Consumo
Viaggio tra storia, sviluppo ed integrazione delle SIR.
di Sandro Trunzo
Era il 1996 quando la prima proposta in Italia relativa alla creazione sul territorio delle SIR, acronimo di Safe Injection Rooms, camere del consumo, scatenò la reazione di politici e istituzioni, persino la Comunità di San Patrignano volle esprimersi, con toni non proprio consoni e rispettosi, a riguardo.
La proposta, avanzata due anni or sono dai consiglieri della regione Toscana dell'area Ds, Prc, Verdi ,Sdi e Comunisti Italiani , si arenò causa anche l'entrata in vigore della discussa legge Fini-Giovanardi nonché le difficoltà tra gli stessi membri della maggioranza di allora.
Perché tale proposta ha suscitato in Italia un ampio dibattito, che altro non lascia se non un silenzio su proposte che mediaticamente suscitano l'interesse di qualsiasi politico, movimenti vari, o comune cittadino ?
Per rispondere a tale quesito, ho preferito ricorrere alla consultazione del dossier messo a punto dalla dottoressa Mariella Orsi, responsabile del CeSDA, Centro Studi e Documentazioni sulle Dipendenze e AIDS.
Elaborato in seguito alla proposta avanzata in Toscana, il dossier ha l'obiettivo di raccogliere esperienze e studi svolti in altri Stati europei e non, dove, come vedremo analizzando il dossier, l'istituzione delle SIR non è tabù, anzi, se ne ricalcano gli aspetti positivi a partire dal contesto sociale.
COSA SONO
Le stanze del consumo sono dei locali in cui è possibile assumere droghe in maniera legale, in condizioni igieniche sicure, con la presenza di personale qualificato (medici, infermieri), al fine di intervenire nel caso dovessero verificarsi complicazioni post-assunzione.
L' OBIETTIVO
Il principale obiettivo rimane, nonostante l'evoluzione che le strutture hanno poi subìto nel tempo dal punto di vista strutturale e dei servizi, quello di creare condizioni igieniche ottimali, e al tempo stesso assicurare al tossicodipendente un punto di riferimento per assolvere all'assuefazione del proprio fisico dal veleno che imperterrito lo costringe ad un isolamento sociale estremo.
Inoltre la creazione di strutture idonee evita il consumo nei luoghi aperti, con tutto ciò che comporta (basti citare il parco Stura a Torino), con siringhe per terra nei luoghi di tutti e di nessuno, di vita e di morte.
CRONOSTORIA
1986: Nascono in Svizzera le prime Sir, causa la diffusione del virus AIDS/HIV ed il dilagante effetto dell'assumere droghe nei luoghi pubblici. Parallelamente, prendono in via le prime campagne di scambio siringhe.
1985-1990: Anche in Germania, Olanda e Spagna vengono istituite le prime SIR, mentre in Svizzera il numero di strutture è in progressivo aumento.
2000: Australia e Canada si dimostrano favorevoli all'istituzione, espandendone così oltreoceano la diffusione.
Lussemburgo e Norvegia si sono aggiunte recentemente all'elenco, mentre in altri Stati (vedi Francia, Irlanda, Danimarca) la discussione è ancora aperta. Da ricordare che in Italia, nel 2003, venne avanzata la disponibilità di gestire un'esperienza simile dal responsabile di una comunità per tossicodipendenti, altra proposta bloccata dalle istituzioni.
IN SINTESI
Le SIR , nate strutturalmente come servizio esclusivo per i tossicodipendenti, spesso si sono evolute in centri multifunzionali (vedi Abd, in Spagna, della quale parleremo tra poco), o sono stati inglobati all'interno di altri servizi sociali.
Le conclusioni possono concretizzarsi nel rapporto dell'Osservatorio Europeo di Lisbona del 2004, che proprio sulle SIR analizza i dati di 15 studi.
Emerge un quadro che va dall'individuazione di quali soggetti ricorrono maggiormente alle SIR, tossicodipendenti senzatetto che non hanno mai avuto contatti con i servizi, ai vantaggi dei quali accennavamo all'inizio dal punto di vista sociale, direttamente proporzionali all'integrazione della struttura all'interno della comunità locale.
La Narcosala di Barcellona
Quartiere Raval, Barcellona.
Tra le opere d'arte, la casa, la Chiesa della Sagrada Familia ancora in costruzione, tutto firmato Gaudì, prende forma il quartiere Raval, l'altra faccia di una metropoli intrisa di fluidi turistici e l'altro volto del quartiere gotico, divisi dalla Rambla.
É proprio nel centro di Barcellona, nel quartiere Raval, che nasce la sala Baluard, un servizio socio-sanitario pubblico che è anche la più grande narcosala della capitale catalana.
Esther Henar, fondatrice della sala Baluard e Alejandra Pineva, lavorano per Abd, Associazione Benessere Desarollo (sviluppo), un'organizzazione non governativa spagnola che si occupa di progetti di protezione, promozione e autonomia delle persone in difficoltà.
Nata negli anni '80 quando anche in Spagna fece irruzione l'uso della droga, e successivamente la diffusione dell'Aids tra i tossicodipendenti, come unità mobili nelle quali poter trovare assistenza, negli anni hanno ampliato il loro raggio d'azione promuovendo, tra l'altro, anche un progetto per le donne tossicodipendenti in gravidanza.
Il grave stato in cui versano le donne a pochi mesi dal parto viene affrontato offrendo sostegno psicologico e avviando un graduale accompagnamento al metadone.
La sala Baluard è aperta 24h su 24h, con tre turni da 8h, ed oltre ai volontari può contare su circa 50 professionisti tra medici, infermieri, assistenti sociali con i quali poter intraprendere percorsi di recupero, che garantiscono “un presidio costante, apprezzato non solo dai consumatori di sostanze, ma anche dalla gente del quartiere che ha visto migliorare la vivibilità del Raval”...Parole di Esther Henar.
Come considerare, alla luce di quanto ho letto, il rifiuto a priori di queste strutture in Italia?
Quali potrebbero essere alternative percorribili ed integrative dal punto di vista sociale?
Che il dibattito abbia inizio....
Riferimenti bibliografici:
-La bassa soglia nella rete dei servizi_ L'esperienza delle Safe Injecting Rooms
Dossier di documentazione a cura del CeSDA in collaborazione con Fuoriluogo
- Narcosale _ Esperienze per il futuro
Liberazione_Edizione serale_Anno XVIII n°227_ Red. Soc.
martedì 16 settembre 2008
Carità o business ?
Si chiama Paul Polak, ha 70 anni, ed è il fondatore dell' International Development Enterprises.
Scritto così, non è ben chiaro chi sia questo personaggio e cosa abbia realmente fondato.
Ma con una breve ricerca, vedrete accostato al nome di questo psichiatra, la dicitura di filantropo glamour.
Paul Polak infatti è il fondatore di una Ong, la IDE appunto, che opera in 9 Paesi, conta 600 impiegati e ambisce a dare una mano nella lotta alla povertà con modi e metodi alquanto discutibili, ma efficienti; tecnologie low cost, in grado di cambiare l'esistenza di contadini e pastori dei paesi poveri.
Sabina Minardi, sull'Espresso n. 31 del 7 agosto, quasi in un'intervista fiume, cerca di scoprire cosa si celi dietro a questo metodo di affrontare la povertà, innovativo, ma seppur con una chiara ombra di business.
La cannuccia che con speciali filtri purifica l'acqua di una pozzanghera, raccoglitori d'acqua piovana, la pompa idraulica al costo di soli 25 dollari, sono solo alcune delle tecnologie semplici ma con un livello di efficienza elevato per popolazioni che vivono con un dollaro al giorno.
Il business efficiente. La chiave di volta della lotta alla povertà.
Tecniche al servizio delle popolazioni con costi accessibili, sì, ma comunque volte all'introito economico.
Eccola allora la risposta di Polak, quando la Minardi chiede se sia eticamente discutibile parlare di business e guadagnare sulla povertà.
“Io credo che un business internazionale che crei opportunità per la gente più povera abbia un impatto molto positivo per il futuro del pianeta. Lo sforzo, semmai, è quello di trovare come attirare investimenti. Questo è un mercato vergine, dove ancora tutto è da dimostrare: non è così evidente che si possano trarre profitti da investimenti in questi campi”.
In alcuni tratti dell'intervista sembrano fondersi le due anime, quella di psichiatra e quella di non proprio definibile uomo d'affari.
Sta di fatto che incrociare i diversi interessi di chi produce, chi realizza, distribuisce ed usa tali prodotti è un successo che gli si deve attribuire, (o che non gli si può negare).
Snocciola dati, si chiede perchè le multinazionali progettino solo per il 10% dei consumatori, quando il 90% è ancora tutto da intercettare; sostiene che la crescita della popolazione mondiale da 6 miliardi di individui a 9 avverrà in paesi dove già sono innumerevoli le persone che vivono con meno di un dollaro al giorno. Allora perchè non avviare un progetto, fragile a priori ma concreto, visti i risultati.
Discutibili, sicuramente, modi, metodi e toni, dell' Ong di Polak, ma quanto mai capaci di ramificarsi e combattere la lotta alla povertà.
Quanto sia sostenibile un'idea simile lo si potrà evincere dai vostri commenti...
venerdì 12 settembre 2008
L'aeroporto di Ciampino si trasferisce
lunedì 8 settembre 2008
Diretto'io andrò in Paradiso
Un’isoletta nel golfo di Napoli: Nisida. Un carcere minorile. Un giornalista che decide di calarsi in questa realtà così difficile.
Questo è “Diretto’io andrò in Paradiso”, un libro scritto da un giornalista romano, Pino Ciociola, inviato di Avvenire, che ha deciso di condividere per alcuni giorni con i ragazzi detenuti, la vita del carcere.
Un libro che non giudica, ma che racconta la vita di questi ragazzi che non hanno ancora compiuto la maggiore età ma già si ritrovano con la fedina penale sporca. Spaccio di droga, furti, e tanto altro: questa è la strada che hanno scelto per uscire dalla condizione di estrema povertà, materiale ed affettiva, che caratterizza le loro vite. Una rotta sbagliata ma non definitiva per chi si è reso conto che forse il futuro può offrire qualcosa di meglio, quella vita che va costruita giorno dopo giorno, rendendosi conto degli errori e facendo di tutto per non ricascare nel baratro. Il libro racconta infatti anche di qualche ragazzo che ce l’ha fatta ed ora vive una vita “normale”, memore degli errori del passato.
La chance per “ricominciare” è quella che viene data a questi ragazzi da chi a Nisida ci lavora. A partire dal direttore, tutti hanno come obiettivo la “crescita” di questi ragazzi, cercando di renderli consapevoli degli errori commessi e dandogli la possibilità di rimediare. Un capitolo del libro è dedicato proprio a Pina e Zio Peppe che da più di trent’anni gestiscono la cucina del carcere e negli anni sono diventati un vero e proprio punto di riferimento per i ragazzi. Ogni anno questi due signori infatti, ospitano nella loro casa per le feste natalizie alcuni di questi ragazzi dandogli così la possibilità di passare un Natale "diverso", visto che molti di loro una famiglia nemmeno ce l'hanno.
Nisida è anche concretezza: sono in corso infatti moltissimi progetti che aiutano i ragazzi ad inserirsi nel mondo del lavoro abituandoli gradualmente a prendere contatto con la realtà al di fuori delle mura del carcere di Nisida. Uno su tutti, è il “Progetto Jonathan-Indesit company”, che offre la possibilità ad alcuni dei ragazzi di lavorare nelle fabbriche dell’Indesit. Sponsorizzato dal 1988 da Vittorio Merloni, indica come sia forte la voglia di offrire un’occasione a chi non ne ha mai avute. Esemplare la risposta data dalla famiglia Merloni e dalla comunità a chi non vedeva di buon occhio quest’iniziativa.:” I vostri figli però hanno avuto la possibilità di studiare e grazie al vostro esempio anche di capire che si può costruire una vita onesta e dignitosa. Questi ragazzini no. Mai. Aiutateci a cercarla.” Molti genitori infatti quando partì il progetto si lamentarono perché mentre i loro figli non riuscivano a trovare lavoro c’era chi, pur avendo commesso un reato, aveva la possibilità di lavorare.
Un libro tutto da leggere che sicuramente fa riflettere da un punto di vista “nuovo”. L’autore, infatti, non si mette dalla parte di chi “giudica”: cerca di “capire” una realtà diversa da quella che siamo abituati a vivere ogni giorno.
Per chi avesse voglia di approfondire...
Diretto'io andrò in Paradiso
storie dal carcere minorile di Nisida
Casa editrice: Ancora
Prezzo: 11 euro
mercoledì 3 settembre 2008
il calcio oggi una macchia scura
mercoledì 27 agosto 2008
Anno scolastico 2008-2009: Pronti, partenza… e tante polemiche !

L’estate sta per volgere al termine ed il mondo della scuola inizia a scaldare i motori visto l’imminente inizio del nuovo anno scolastico.
Prime polemiche causate dalle dichiarazioni del Ministro Gelmini sulla presunta inferiorità della scuola (e degli insegnanti) nel Sud d’Italia rispetto al Nord. Le dichiarazioni “incriminate” sono poi state prontamente smentite. Nonostante questo gli animi non si sono sedati. Il governatore della Sicilia, per esempio, parla di “Giudizi razzisti su chi insegna al Sud”.
I cavernicoli vogliono approfondire quest’argomento concentrandosi però su un dato che fa riflettere: la scuola al Nord sopravvive grazie ai professori del Sud. Strano vero ? Non più di tanto. Infatti, ogni anno sono moltissimi gli insegnanti del Sud che vanno ad insegnare al Nord. Alcuni con il passare degli anni decidono poi di stabilirsi definitivamente nel posto in cui lavorano mentre altri chiedono il trasferimento e appena possibile tornano a casa.
Un cambiamento non da poco per chi decide di intraprendere il percorso per diventare insegnante. Dopo i 5 anni di università c’è la scuola di specializzazione per insegnanti ( SSIS ) e successivamente ci si affida alle graduatorie. Tante supplenze e se si è fortunati dopo anni si riesce ad ottenere la famosa “cattedra”, altrimenti ogni anno si ritorna ad esser schiavi della graduatoria.
Rivolgiamo qualche domanda ad una “pendolare dell’insegnamento”. Nata a Roma ma trasferitasi per esigenze “scolastiche” al Nord, Eugenia, ora professoressa di ruolo alle scuole medie ha accettato di rispondere a qualche domanda sull’universo “scuola”.
Prof, cosa ne pensa delle dichiarazioni fatte dal Ministro Gelmini che hanno scatenato tante polemiche ?
Penso che certe affermazioni, se non supportate da valide basi, siano assolutamente gratuite...In verità noi Prof siamo un po' stanchi di chi "sale in cattedra" (con tutto il rispetto per il Ministro, ovviamente) e si permette di giudicare senza conoscere quale sia la vera realtà della scuola...E mi riferisco non solo alla realtà delle graduatorie, dei concorsi, delle supplenze, delle ansie e preoccupazioni, ma anche, e soprattutto, alla realtà che si vive IN CLASSE ogni giorno...Solo trascorrendo non qualche ora, ma l'intero anno scolastico in più contesti ci si rende conto di cosa sia veramente il mondo "scuola".
Il trasferirsi per lavoro in una città che non si conosce comporta sicuramente delle rinunce importanti da fare: lasciare la propria città, le persone care, cambiare abitudini e ricominciare da zero. Anche dal punto di vista logistico credo che non sia facile riorganizzarsi una vita altrove, sentendosi sempre in bilico a causa delle graduatorie che ogni anno cambiano. Qual è stata la sua esperienza di insegnante “trapiantata” ?
La cosa più assurda sono le persone "emigrate" come me, che ti guardano con diffidenza, che si domandano quanto pregiudicherà la loro posizione il tuo arrivo...Ecco, questo non m'è piaciuto e mi ha lasciato tanto amaro in bocca...Poi si fa l'abitudine e si va avanti, in un modo o nell'altro...Una cosa è certa: a 34 anni, con un affitto più spese (luce, gas, telefono, acqua, riscaldamento, rifiuti), viveri, medicinali e visite continue, abbonamento bus etc etc...non ho ancora una macchina ed anche il solo pensare di comprare una casa mia è assolutamente un'utopia...
Mi chiedevi cosa ripagasse i sacrifici...E' proprio l'entrare in classe che ripaga, il vedere i volti dei tuoi ragazzi che ti sorridono, che nei temi ti raccontano la loro vita, che ti prendono da parte e ti aggiornano sulla loro vita sentimentale, che condividono gioie, soddisfazioni ed anche dolori con te...Il fatto che ti arrivino sms da ex-alunni ormai all'università, auguri di compleanno, telefonate, cartoline, mail che ti ricordano, ogni volta, quanto bene ti abbiano voluto e quanto tu ne abbia voluto (e continui a volerne) a loro...Questo non significa che sia tutto "rose e fiori", che non ci siano scontri o discussioni, ma finchè avrò una coscienza, cercherò di fare del mio meglio. Ho sempre pensato che, al di là della pagina di un libro, se riuscirò a trasmettere ai miei alunni anche solo uno dei valori in cui credo, l'amicizia, la libertà, l'amore, la famiglia...beh, allora come insegnante, sarò certa di non aver fallito...Questo è senz'altro il mio più grande desiderio...
La scuola è sempre al centro dell’attenzione: Prof fannulloni, bullismo, scuole private adibite a “diplomifici”, come ci si sente ad essere parte integrante di un sistema che spesso viene accusato?
Chiudiamo questa piccola intervista con un’ultima domanda: Ai piani alti parlano tanto di soluzioni “salva scuola”, tagli, finanziamenti… ma secondo Lei cosa servirebbe alla scuola per migliorarsi ?
Forse servirebbe ricominciare a credere nella scuola, puntare su coloro che fino ad ora ne hanno tenuto alto il nome...nonostante si dica il contrario. La cultura che si trasmette nelle scuole italiane è sempre stata al di sopra di qualsiasi altro Stato Europeo e questo lo sappiamo tutti fin troppo bene...altrimenti perchè tanti dei nostri laureati scappano dall'Italia e trovano subito lavoro all'estero? Forse bisognerebbe "tagliare" altre cose...optional superflui di cui si circondano tante persone...e per una volta, almeno una, sarebbe opportuno che gli insegnanti venissero valorizzati per quello che sono...Non sto dicendo che siamo tutti "santi" o assolutamente "devoti al lavoro", ma scusate...è un po' monotona la storia che fa "di tutta l'erba un fascio": cominciate a restituire la dignità ad un insegnante...e vedrete "quali miracoli" possano ancora accadere...Ottimista? Forse...Ingenua? Può darsi...ma io sono una di quelle che ancora credono nella scuola...Poi magari, come mi dicono tanti colleghi più grandi di me, tra qualche anno cambierò idea e perderò l'entusiasmo che è alla base del mio insegnare...L'ho detto a loro e lo dico a voi: quando e se dovesse accadere una cosa del genere, mi auguro di avere l'umiltà di ammettere che "il mio tempo è finito" e che è arrivata l'ora di mettere nel cassetto gesso e cancellino, magari per vivere qualche altra esperienza...
Grazie alla nostra Prof per aver risposto in modo così esauriente alle nostre domande e in bocca al lupo per l’inizio dell’anno scolastico oramai alle porte !
sabato 16 agosto 2008
Simone Rualta & the
Tutto cominciò 20 anni fa quando Simone Rualta impugnò la chitarra ammaliato dal fascino di Bruce Springsteen a cui si era avvicinato all’epoca di “The river” e “Born in the Usa”su questa scia il concerto del 16 giugno
venerdì 8 agosto 2008
Testa o cuore ?
Agosto è arrivato e per tutti gli ex maturandi che hanno deciso di continuare gli studi e imbattersi nell’incasinatissimo mondo universitario è tempo di scelte.
Girando per i vari forum e siti frequentati dal popolo studentesco è facile capire che di questi tempi, messi da parte gli interrogativi e le ansie che hanno preceduto la maturità, il “problema” degli studenti è quello della scelta dell’università a cui iscriversi e soprattutto della facoltà.
Farò la scelta giusta? Sarà quella definitiva? E’difficile? Troverò lavoro? Queste sono le tipiche domande che un po’tutti si fanno quando il momento del “si” è imminente.
Molto probabilmente quello che fa più paura è il trovarsi di fronte a qualcosa di “nuovo”, quel classico disagio che si prova nell’affrontare per la prima volta qualcosa di sconosciuto.
L’università è un mondo completamente nuovo e se vogliamo anche più complicato rispetto all’ambiente “casalingo” della scuola superiore. Ci sono più responsabilità e non c’è più il professore che con scadenze, interrogazioni, valutazioni intermedie e scrutini indica quali sono i “tempi” giusti di percorrenza dell’autostrada “scuola”. Non ci sono più regole da rispettare, compiti in classe da saltare, entrate alla seconda ora. C’è liberta. Libertà di non presentarsi agli appelli d’esame, libertà di starsene in giro quando invece si dovrebbe stare a lezione, libertà di prendere appunti durante la spiegazione oppure di sentire l’ultima canzone del proprio gruppo preferito con l’iPod nelle orecchie. Credete forse che il professore in un aula con 150 persone si interessi a voi?Si è liberi. Liberi di fare qualsiasi cosa in qualsiasi momento. Ma come ben sappiamo la libertà ha un prezzo. Si chiama “coscienza”. Quelli che non sono dotati di questo optional sono quei “ragazzotti” che vedrete con qualche capello bianco ancora seduti sulle scale della facoltà. A voi la scelta.
Ma torniamo a noi. Il titolo, così ambiguo, potrebbe anche ricordare una scelta d’amore. Seguire la testa o il cuore? No, non preparatevi a sentire qualche gossip cavernicolo perché non ne abbiamo (forse chissà, tra qualche tempo apriremo anche la posta del cuore, mai dire mai… ndr)!
La testa o il cuore riguarda infatti la fatidica scelta: seguo le mie passioni, i miei sogni, cerco di costruirmi un futuro “felice” oppure seguo i consigli dei miei genitori, dei miei amici più grandi, di qualche professore che solo per il fatto di avere qualche anno più di me crede di avere tutte le risposte e faccio la facoltà che in futuro mi darà più opportunità nel mondo del lavoro?L’ideale sarebbe decidere in modo totalmente autonomo senza essere influenzati da nessuno anche perché, si sa, ogni esperienza è diversa e non si può scegliere in base a qualcosa che ci viene riportato senza averlo provato direttamente sulla nostra pelle.
Come ben sappiamo non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Di conseguenza credo che sia utopico pensare che la scelta che viene fatta sia quella “giusta”sia per la testa sia per il cuore. La bilancia, seppure minimamente, pende sempre da una parte o dall’altra.
Bisogna scegliere. I forum, in questo periodo “caldo”, sono pieni di queste domande. Le risposte? Variano. C’è il ragazzo che è rimasto “scottato” da una scelta di “testa” e ora torna indietro e allora consiglia di seguire il cuore, mentre la neolaureata che ora è disoccupata si “autoaccusa” per la scelta fatta e consiglia di scegliere il famoso “posto sicuro”.
Ho scritto tanto ma nelle mie parole non c’è nessuna delle risposte che tanti cercano; non ho indicato nessuna via. Nessuna preferenza. Nessun consiglio. Niente.
E voi, proprio da quel niente dovete partire. Lasciatevi guidare.
Da chi? Da cosa?Da voi stessi. D’altronde, tanto, si sa: “del futuro non v’è certezza”.
“Siate il meglio di qualunque cosa siate”.
giovedì 7 agosto 2008
Olimpiadi: -1

Dal canto italiano Gasparri, con l'appoggio del ministro del suo partito Giorgia Meloni, ha proposto provocatoriamente che fossero gli atleti a farsi carico del forfait , a loro il compito di esplicitare gesti simbolici per la libertà dei cinesi, appello inopportuno e imbarazzante a detta degli atleti stessi.
Fini ha considerato il boicottaggio una manovra inutile, ribadito in occasione del rientro dagli Eurogames degli atleti omosessuali. Ignazio La Russa non si presenterà sul terreno cinese e nemmeno il premier, che invierà il ministro degli esteri Frattini, il quale si muove sulla linea della non-politicizzazione dei giochi che obiettivamente fa sorridere, mentre il Comitato Olimpico Internazionale deplora ogni invito rivolto agli atleti affinchè non partecipino.
Cosa ne pensano gli atleti? La tedesca Duplitzer ha annunciato che non prenderà parte alla cerimonia d'inaugurazione e l'italiano ex sprinter medaglia d'oro Mennea sostiene che boicottare è un errore: è facile scaricare responsabilità sugli atleti quando i politici fino a tempi recenti si sono completamente disinteressati, anche a detta dello stesso Mennea, che partecipò a Strasburgo a una riunione plenaria su questo tema trovandovi un solo politico.
Di errori si parla, errori nel deputare Pechino come luogo per le Olimpiadi, errori nel voler attribuire agli atleti gesti competenti alle autorità politiche solo per lavarsi le mani dalle responsabilità diplomatiche.
Nel 2001, al momento dell'attribuzione della futura data dei giochi olimpici, Pechino attraversava già un calpestamento radicale dei diritti umani, sfruttava la logica dei rapporti di forza sul Tibet, aveva il triste primato mondiale di 5000 pene capitali annuali.
L'indifferenza dei politici e il problema "boicottare o no?" hanno alimentato dibattiti e le posizioni sono tuttora divergenti. Io sono del parere che non spetta agli atleti la sollevazione contro la Cina, il campo sportivo non è il luogo adatto per mostrare segni di riprovazione contro l'aberrante sistema vigente. Le Olimpiadi non devono essere luogo di scontro ideologico, ma luogo di solidarietà in cui ci si relaziona e si gareggia sportivamente. Non devono essere usate in maniera strumentale.
Si parla di guerra santa anticinese, di terrorismo, di pericolo febbrile, tutte minacce sospese nel cielo plumbeo e soffocante di Pechino che attende.
mercoledì 6 agosto 2008
Videogiochi al bando
Sempre più spesso si attua una vera e propria censura ai danni di questo media. Perché?
Sono ormai passati ben 37 anni da quando Nutting Associates metteva in commercio il primo videogioco della storia: Computer Space. Da allora, passando per Pong, Tetris e Mario, fino ad arrivare a Final Fantasy e Gears of War, il videogioco ha cercato di farsi strada, talvolta riuscendoci, tra i media dominanti. Ma il suo cammino non è stato certo facile: la sua è sempre stata, e continua ad essere, oggi più di prima, una continua lotta contro chi cerca di mettergli il bastone tra le ruote puntandogli il dito contro e accusandolo di essere la colpa di ogni male dell’umanità o la maggiore causa di violenza tra i bambini.
La verità è una sola: troppa gente incompetente si ritiene in grado di parlare di videogiochi ma soprattutto di accusarli senza aver mai preso un pad in mano.
Fiorello, che in una puntata di Viva Radio 2 - show radiofonico condotto con Marco Baldini - accusa Grand Theft Auto IV di essere un gioco il cui obiettivo è “commettere crimini per fare più punti”, minimizzando oltremodo il lavoro di Rockstar Games (casa sviluppatrice del titolo, ndr) e mettendo in secondo piano quello che il gioco ha da offrire grazie a una trama e una sceneggiatura degne di Hollywood, è l’emblema del fatto che il videogioco è ancora considerato qualcosa di inferiore agli altri media tanto che chiunque può essere libero di parlarne pur non avendo le minime competenze per farlo.
Se ci spostiamo a livelli più alti e decisamente più vicini all’industria videoludica stessa, la situazione è, in taluni casi, ugualmente grave e ha, ovviamente, conseguenze più tangibili. Citando uno dei casi più recenti, Bioshock 2, sequel di una vera e propria opera d’arte sbarcata lo scorso anno sulle console di nuova generazione e su PC (ovvero Bioshock, di cui potete leggere la recensione su XboxWay.com, ndr), rischia di non vedere mai la luce nel Regno Unito (o di arrivare nei negozi decisamente “monco” a causa di diversi tagli che ne inficerebbero la qualità) per via di un organo di classificazione (la BBFC) sempre più vicino a una vera e propria “mannaia” - che qualche anno fa aveva già colpito l’ormai famoso Manhunt 2. Non ci si limita, dunque, a vietare la vendita di un prodotto ai minori qualora questo non sia adatto a tale fetta di pubblico, ma si inizia sempre più spesso a scegliere una strada più breve, assolutamente drastica e ingiusta: la censura.
Stessa sorte di Manhunt 2 sarebbe potuta toccare a Call of Duty 4, noto gioco dall’ambientazione bellica che fortunatamente è arrivato sul mercato intatto lo scorso inverno. Meno fortunato è stato invece, in Australia, il gioco di prossima uscita Fallout 3 (targato Bethesda Softworks), letteralmente bandito dall'Ufficio per la Classificazione del Cinema e della Letteratura locale: gli amici australiani si perderanno un vero capolavoro. Semplicemente scorretto.
Certo, non siamo ancora arrivati al punto di poter dire che i videogiochi sono stati messi “al bando”, ma indubbiamente la strada che si sta cercando di intraprendere, e ne è la prova l’Australia, dove ormai si vietano due o tre giochi all’anno, non propone rosee prospettive per il futuro.
Cosa fare, dunque? Ci sono dei modi per evitare la censura? Ovvio, e per illustrarli torniamo in Europa. Qui, spesso si trascura una cosa molto importante: il PEGI (Pan European Game Information, equivalente della BBFC britannica e del ESRB americano). Si tratta di un sistema di classificazione dei prodotti videoludici che è ormai lo standard e che molti (si spera) avranno imparato a conoscere grazie ai simboli che compaiono sull’angolo inferiore sinistro e sulla facciata posteriore delle copertine di tutti i giochi.
Spesso, purtroppo, molti prodotti considerati (giustamente) dal PEGI come non adatti a un pubblico di minori vengono ugualmente venduti - o inconsapevolmente acquistati dagli stessi genitori - a bambini e ragazzini, con le ovvie conseguenze negative che il loro utilizzo può avere sulla loro psiche.
Insomma, perché non sfruttare appieno ciò che già esiste? Basterebbe pubblicizzare maggiormente il sistema PEGI (o, in generale, i vari sistemi di classificazione in vigore nelle diverse aree del globo), dargli più peso e soprattutto fare in modo che venga rispettato al momento della vendita. Niente censure in questo modo, e il pubblico adulto potrebbe godere liberamente di un nuovo, attesissimo videogioco allo stesso modo e con la stessa facilità con cui è libero di godersi una nuova pellicola cinematografica di Quentin Tarantino.
lunedì 4 agosto 2008
The Big Apple: studiare costa caro!
Sfogliando Repubblica, un articolo in particolare ha destato la mia attenzione. Nell’ambito di un reportage sulle elezioni americane è infatti saltato fuori il problema del costo dell’istruzione in America.
Mi sembra interessante parlarne soprattutto per vedere qual è la situazione dei nostri colleghi d’oltreoceano.
Il reportage, firmato da Marco Calabresi, affronta il problema attraverso la testimonianza di una giovane che ha appena concluso una scuola di legge ed è costretta a condurre una vita fatta di rinunce. “Sto attentissima a come spendo i soldi, segno su un quaderno ogni spesa che faccio, dal caffè al biglietto dell’autobus perché devo tenere ogni cosa sotto controllo se voglio arrivare alla fine del mese”.
A Washington, dove vive, non ci si è persi d’animo e si è creata una comunità che cerca di affrontare insieme i problemi trovando soluzioni “creative”. Una sua tutte? Invece di andare al cinema ci si riunisce a casa di qualcuno, si noleggia un DVD e si dividono le spese.
Ma come mai Carrie, la protagonista del reportage, e tanti altri suoi “colleghi” si trovano in queste condizioni?
Il problema si chiama “debito”. Debito? Si, debito! Quel debito che opprime la maggior parte dei giovani che hanno deciso di studiare nelle scuole di medicina, legge e business.
I dati parlano chiaro: l’80% degli studenti che hanno terminato un master in legge hanno un debito pari a 77 mila dollari se hanno studiato in una scuola privata mentre si “scende”a 50 mila dollari se hanno studiato in una struttura pubblica,
Sono pienamente d’accordo con Carrie quando afferma che “questi dati sono una sconfitta per l’America e per tutti”. Il diritto allo studio credo sia fondamentale per poter sperare in un futuro migliore. Perché non dare a tutti la possibilità di “provarci”?
In questo paesaggio pieno di nuvole è però spuntato un piccolo raggio di sole: Barack Obama ha infatti dato spazio al problema promettendo di risolvere la situazione: sgravi fiscali a tutti i neolaureati in cambio di 100 ore annuali di servizio civile.
Sarò solo uno “slancio elettorale”oppure Barack riuscirà veramente a risolvere il problema e si ricorderà di questi “dottori” anche dopo le elezioni?
Fonte: Repubblica
sabato 2 agosto 2008
"Alla salute"... ci tengo!

Sanzioni più severe per chi guida in stato di ebbrezza: cosa ne pensano gli studenti?
Tempi duri per i fan dell’alcool: nuove norme e sanzioni più severe per chi guida in stato di ebbrezza.
Sembra un vecchio ricordo lo stornello romano in cui Alvaro Amici cantava: “Oste, versace n’altro litro…”. Con l’aumento dei controlli e l’inasprimento delle sentenze, tutti quelli che risultano positivi al test dell’alcool ora rischiano seriamente di rimanere… a piedi. Confisca immediata del mezzo e ritiro della patente per tutti quelli che “osano”.
Ma c’è bisogno veramente di “bere” per divertirsi? In discoteca la consumazione alcolica diventa veramente un obbligo? Qual è il rischio per chi non beve? Per chi si ritrova a esser dall’altra parte? Forse rischia di essere considerato non alla moda, di essere “l’escluso” della serata solo perché non si diverte a esagerare. Perché una vodka e non un succo di frutta? E’da sfigati?
Non ditemi che per la maggior parte fare uso di alcool è un “piacere”: non ci credo. La percentuale di chi beve per piacere è bassa, il resto beve perché “fa moda”, perché “ci si diverte di più”, perché con fiumi d’alcool che scorrono nelle vene è anche più semplice approcciarsi alla ragazza che balla vicino a noi, la nostra compagna di università alla quale non abbiamo mai avuto il coraggio di dichiararci. Siamo veramente scesi così in basso?
Le statistiche parlano chiaro: rispetto al 2007 sono aumentate le morti a causa di incidenti stradali dovuti alla guida in stato di ebbrezza. Sempre più persone perdono la vita per colpa di qualcuno che molto probabilmente non si rende conto di quanto sia “semplice” non mettere in pericolo la sua stessa vita e quella degli altri. Basterebbe limitarsi nel bere oppure, ancora meglio, evitare di guidare se si è alzato un po’ il gomito affidando la propria auto (e la vita) al cosiddetto “Bobby”, il guidatore che decide di “sacrificarsi” e non bere per riportare a casa la pelle e far sì che una serata divertente non si trasformi in una tragedia.
E’anche vero che con l’inasprimento delle sanzioni ora si rischia di dover rinunciare alla patente anche per aver bevuto il classico amaro post pranzo. Come dire… “per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno…”
E’giusto? E’sbagliato? Funzionerà?
giovedì 31 luglio 2008
Deliri universitari...
Interno di una casa.
Una ragazza è seduta alla sua scrivania. Davanti a lei montagne di fogli con sopra appunti di ogni genere. Alla sua destra qualche libro aperto. A sinistra c’è invece un PC con una presentazione PowerPoint ancora da finire. Work in progress, direbbero gli inglesi…
Fuori dalla finestra il sole è alto e splende su una Roma che si sta spogliando dei vestiti primaverili per mettersi un bel bikini e concedersi all’estate. Sotto casa si sentono i bambini che giocano, le nonne che si dirigono verso il mercato per fare la spesa.
La ragazza si gode la scena affacciata alla finestra, prima di rendersi conto che le cose da fare sono tante e il tempo, si sa, oltre a esser galantuomo è anche tiranno...
“Dai su che manca poco,” le sussurra all’orecchio l’angelo buono venuto in suo aiuto.
“Certo, ancora qualche giorno e poi via, si va in vacanza… e dall’anno prossimo addio interrogazioni, addio compiti in classe, addio sveglia che suona puntuale 5 giorni su 7 perché uno stramaledetto portone di una stramaledetta scuola si sta per aprire e tu devi essere lì pronta a subire l’ennesima interrogazione… l’ennesimo rimprovero da parte di un professore che proprio non capisce che tu ieri sera sei uscita con un figo e ora devi raccontare tutto alla tua compagna di banco, D’Annunzio da buon marpione qual’era di certo non si offenderà se tu ti perderai la spiegazione di qualche sua poesia! Finalmente andrò all’università e sarò libera di gestire il mio tempo, avrò i miei spazi e il giusto tempo per riposarmi!” Pensa la ragazza tirando un sospiro di sollievo.
Luglio 2008: Mancano pochi giorni all’ultimo esame della sessione estiva e poi si cominciano a preparare quelli di Settembre.
Biblioteca dell’università.
Una ragazza è seduta su un tavolo e sta sottolineando un libro.
Fuori ci sono 40 gradi e ovviamente il luogo in cui si trova è sprovvisto di aria condizionata.
Vicino alla ragazza si siedono due personaggi strani: uno ha un’aureola in testa; l’altro, invece, ha una forca in mano.
Il primo si avvicina all’orecchio sinistro della ragazza e dice: “Dai su che manca poco…!”
L’altro sentendo quelle parole si alza e inizia a collegare il videoproiettore al PC.
Dopo qualche minuto si spengono le luci e sul muro viene proiettata una slide in tipico formato PowerPoint.
In dissolvenza appare una scritta:
“Finalmente andrò all’università e sarò libera di gestire il mio tempo, avrò i miei spazi e il giusto tempo per riposarmi!”
Basta un click e...
Ma è ancora presto per iniziare a divagare. Torniamo a noi. Dunque, per questa volta faremo i bravi cavernicoli e vi risparmieremo la fatica di clickare. Dicevamo? Ah, si. Chi siamo? Chi sono i Cavernicoli Moderni?
Accendiamo la “modalità seria” e rispondiamo: i Cavernicoli Moderni sono degli Homo “Sapiens” (si, lo so, avevamo detto di rispondere in modo serio: vi assicuro che lo stiamo facendo!), ma nel vero senso della parola. Siamo studenti dell’Università di Roma “La Sapienza”. La passione ci ha spinti qui, a valicare i limiti del mondo reale per tuffarci in quello virtuale aprendo... un Blog.
“Wilma, la clava!” Direbbe il caro e vecchio (cavolo, ormai avrà pure il suo milione d’anni!) Fred Flinstone. Ma noi siamo Moderni. Noi non abbiamo la clava, abbiamo il Blog. E vi assicuriamo che se dobbiamo bastonare qualcuno... beh, possiamo farlo lo stesso.
Qui si parlerà di tutto, proprio come una vera e propria testata giornalistica. Ci sarà lo spazio dedicato alla cronaca, quello dedicato all’attualità, alla scienza, alla tecnologia, ai videogiochi e anche quello sulla musica. Ma soprattutto ci piacerebbe che foste voi, cari colleghi, a parlare, a farvi sentire. Commenti, commenti e ancora commenti. Una funzione rivoluzionaria. Si, perché noi ormai “commentiamo” tutto. Voi no? Beh, fate bene. Non dico di arrivare ai nostri livelli, infatti, ma quantomeno i nostri articoli potreste commentarli, no? D’altra parte basta un click, come dicevamo.