mercoledì 27 agosto 2008

Anno scolastico 2008-2009: Pronti, partenza… e tante polemiche !






Tra dichiarazioni bollenti e polemiche nell’universo scolastico, i cavernicoli fanno quattro chiacchere con una Prof sul mondo della scuola…

L’estate sta per volgere al termine ed il mondo della scuola inizia a scaldare i motori visto l’imminente inizio del nuovo anno scolastico.
Prime polemiche causate dalle dichiarazioni del Ministro Gelmini sulla presunta inferiorità della scuola (e degli insegnanti) nel Sud d’Italia rispetto al Nord. Le dichiarazioni “incriminate” sono poi state prontamente smentite. Nonostante questo gli animi non si sono sedati. Il governatore della Sicilia, per esempio, parla di “Giudizi razzisti su chi insegna al Sud”.

I cavernicoli vogliono approfondire quest’argomento concentrandosi però su un dato che fa riflettere: la scuola al Nord sopravvive grazie ai professori del Sud. Strano vero ? Non più di tanto. Infatti, ogni anno sono moltissimi gli insegnanti del Sud che vanno ad insegnare al Nord. Alcuni con il passare degli anni decidono poi di stabilirsi definitivamente nel posto in cui lavorano mentre altri chiedono il trasferimento e appena possibile tornano a casa.

Un cambiamento non da poco per chi decide di intraprendere il percorso per diventare insegnante. Dopo i 5 anni di università c’è la scuola di specializzazione per insegnanti ( SSIS ) e successivamente ci si affida alle graduatorie. Tante supplenze e se si è fortunati dopo anni si riesce ad ottenere la famosa “cattedra”, altrimenti ogni anno si ritorna ad esser schiavi della graduatoria.

Rivolgiamo qualche domanda ad una “pendolare dell’insegnamento”. Nata a Roma ma trasferitasi per esigenze “scolastiche” al Nord, Eugenia, ora professoressa di ruolo alle scuole medie ha accettato di rispondere a qualche domanda sull’universo “scuola”.

Prof, cosa ne pensa delle dichiarazioni fatte dal Ministro Gelmini che hanno scatenato tante polemiche ?

Penso che certe affermazioni, se non supportate da valide basi, siano assolutamente gratuite...In verità noi Prof siamo un po' stanchi di chi "sale in cattedra" (con tutto il rispetto per il Ministro, ovviamente) e si permette di giudicare senza conoscere quale sia la vera realtà della scuola...E mi riferisco non solo alla realtà delle graduatorie, dei concorsi, delle supplenze, delle ansie e preoccupazioni, ma anche, e soprattutto, alla realtà che si vive IN CLASSE ogni giorno...Solo trascorrendo non qualche ora, ma l'intero anno scolastico in più contesti ci si rende conto di cosa sia veramente il mondo "scuola".

Il trasferirsi per lavoro in una città che non si conosce comporta sicuramente delle rinunce importanti da fare: lasciare la propria città, le persone care, cambiare abitudini e ricominciare da zero. Anche dal punto di vista logistico credo che non sia facile riorganizzarsi una vita altrove, sentendosi sempre in bilico a causa delle graduatorie che ogni anno cambiano. Qual è stata la sua esperienza di insegnante “trapiantata” ?

Innanzi tutto mi sento di poter dire che mi sembra assurdo, in pieno 2000, dover "emigrare" al Nord per trovare lavoro...Considerando che, sulla carta, sembra che l'Italia sia al passo coi tempi, si stia allineando sempre più con gli altri Paesi Europei (e su questo avrei qualcosa da dire, ma sorvolo...per evitare inutili polemiche...), non mi sembra che le cose, rispetto ai primi anni del '900 ed al 2°dopoguerra, siano poi cambiate così tanto no? Non è stato facile vivere qui...Non conoscevo nessuno, ho scelto solo ed esclusivamente in base ad un discorso di "graduatorie" accessibili...come girare il mappamondo e puntare, a caso, il dito...Ero stanca di vivere ogni anno il dramma delle convocazioni all'USP di Roma e rimanere poi senza nulla in mano, perchè un nuovo decreto istituisce le SISS e dà loro 30 punti e ritrovarsi quindi continuamente scavalcati. Per non parlare del "commercio" di master e corsi di perfezionamento: una compravendita di punti e basta, purtroppo...Così ho cambiato vita, completamente...Mi sono rimboccata le maniche e sono ripartita da zero...Il primo anno è stato difficile: lasciare la casa, gli affetti, la città dove sei nata e cresciuta...In più ho problemi di salute e quindi aggiungi l'incertezza di un futuro e la paura di non farcela.
La cosa più assurda sono le persone "emigrate" come me, che ti guardano con diffidenza, che si domandano quanto pregiudicherà la loro posizione il tuo arrivo...Ecco, questo non m'è piaciuto e mi ha lasciato tanto amaro in bocca...Poi si fa l'abitudine e si va avanti, in un modo o nell'altro...Una cosa è certa: a 34 anni, con un affitto più spese (luce, gas, telefono, acqua, riscaldamento, rifiuti), viveri, medicinali e visite continue, abbonamento bus etc etc...non ho ancora una macchina ed anche il solo pensare di comprare una casa mia è assolutamente un'utopia...
Università, scuola di specializzazione, supplenze e poi chissà…forse il ruolo: quanta passione ci vuole per affrontare tutto questo ? E soprattutto c’è qualcosa che poi, una volta entrata in classe, la ripaga di tutti i sacrifici fatti ?

Ci vuole tanta passione è vero...consapevolezza che la strada che si è intrapresa è assolutamente in salita, che i sacrifici saranno tanti ed anche una volta arrivati (per chi ha la fortuna di arrivare alla sospirata meta) di certo non è finita...Perchè la salita continua, ogni giorno...Le nuove generazioni richiedono tantissimo: vogliono prof che stiano al passo con i tempi, che sappiano esserci, ma senza imporsi...vorrebbero non avere nessuno che detti regole, ma poi, almeno nella scuola, vorrebbero avere un punto fermo...un riferimento valido...Sappiamo quali siano le condizioni di tante famiglie, molti genitori lavorano e spesso i ragazzi rimangono a casa da soli...Non mi sento di biasimare padri e madri che sgobbano ogni giorno: come potrebbero fare a mantenere i loro figli nella società di oggi? E' anche vero che questa assenza non è positiva, che non tutti i ragazzi nascono responsabili...A volte c'è bisogno di stabilità ed un tempo la scuola rappresentava un valore, oggi, perdonate l'azzardo, ma ho la sensazione che sia diventata solo "un pubblico parcheggio"...

Mi chiedevi cosa ripagasse i sacrifici...E' proprio l'entrare in classe che ripaga, il vedere i volti dei tuoi ragazzi che ti sorridono, che nei temi ti raccontano la loro vita, che ti prendono da parte e ti aggiornano sulla loro vita sentimentale, che condividono gioie, soddisfazioni ed anche dolori con te...Il fatto che ti arrivino sms da ex-alunni ormai all'università, auguri di compleanno, telefonate, cartoline, mail che ti ricordano, ogni volta, quanto bene ti abbiano voluto e quanto tu ne abbia voluto (e continui a volerne) a loro...Questo non significa che sia tutto "rose e fiori", che non ci siano scontri o discussioni, ma finchè avrò una coscienza, cercherò di fare del mio meglio. Ho sempre pensato che, al di là della pagina di un libro, se riuscirò a trasmettere ai miei alunni anche solo uno dei valori in cui credo, l'amicizia, la libertà, l'amore, la famiglia...beh, allora come insegnante, sarò certa di non aver fallito...Questo è senz'altro il mio più grande desiderio...

La scuola è sempre al centro dell’attenzione: Prof fannulloni, bullismo, scuole private adibite a “diplomifici”, come ci si sente ad essere parte integrante di un sistema che spesso viene accusato?

Ci si sente sempre sotto l'occhio del mirino e ci si domanda perchè non si puntino i riflettori anche sulle situazioni positive...Su insegnanti che danno qualcosa ai loro alunni, su docenti che vivono l'insegnamento non come un timbrare il cartellino, ma come una missione, una responsabilità...Oltre che insegnante sono anche educatrice...mi piacerebbe che, ogni tanto, venisse valorizzato il lavoro che faccio, non sempre azzerato o sminuito...Ci sono tanti docenti che lavorano in scuole a rischio, in ospedale o in carcere...perchè non vengono mai interpellati? Perchè di loro non si parla mai? Io stessa ho lavorato in una scuola a rischio, a Tor Bella Monaca...E' stata l'esperienza più devastante, ma anche la più incredibilmente umana che io abbia mai vissuto...Un modo d'insegnare completamente diverso dai metodi tradizionali, l'umanità che ho vissuto e respirato lì non l'ho più trovata da nessuna parte...

Chiudiamo questa piccola intervista con un’ultima domanda: Ai piani alti parlano tanto di soluzioni “salva scuola”, tagli, finanziamenti… ma secondo Lei cosa servirebbe alla scuola per migliorarsi ?

Forse servirebbe ricominciare a credere nella scuola, puntare su coloro che fino ad ora ne hanno tenuto alto il nome...nonostante si dica il contrario. La cultura che si trasmette nelle scuole italiane è sempre stata al di sopra di qualsiasi altro Stato Europeo e questo lo sappiamo tutti fin troppo bene...altrimenti perchè tanti dei nostri laureati scappano dall'Italia e trovano subito lavoro all'estero? Forse bisognerebbe "tagliare" altre cose...optional superflui di cui si circondano tante persone...e per una volta, almeno una, sarebbe opportuno che gli insegnanti venissero valorizzati per quello che sono...Non sto dicendo che siamo tutti "santi" o assolutamente "devoti al lavoro", ma scusate...è un po' monotona la storia che fa "di tutta l'erba un fascio": cominciate a restituire la dignità ad un insegnante...e vedrete "quali miracoli" possano ancora accadere...Ottimista? Forse...Ingenua? Può darsi...ma io sono una di quelle che ancora credono nella scuola...Poi magari, come mi dicono tanti colleghi più grandi di me, tra qualche anno cambierò idea e perderò l'entusiasmo che è alla base del mio insegnare...L'ho detto a loro e lo dico a voi: quando e se dovesse accadere una cosa del genere, mi auguro di avere l'umiltà di ammettere che "il mio tempo è finito" e che è arrivata l'ora di mettere nel cassetto gesso e cancellino, magari per vivere qualche altra esperienza...

Grazie alla nostra Prof per aver risposto in modo così esauriente alle nostre domande e in bocca al lupo per l’inizio dell’anno scolastico oramai alle porte !

sabato 16 agosto 2008

Simone Rualta & the 6th Avenue band

Tutto cominciò 20 anni fa quando Simone Rualta impugnò la chitarra ammaliato dal fascino di Bruce Springsteen a cui si era avvicinato all’epoca di “The river” e “Born in the Usa”su questa scia il concerto del 16 giugno 1988 a Roma segnò una svolta nella carriera musicale di Simone in quanto cominciò a pizzicare le corde riproponendo le melodìe del suo idolo fino a quando non gli bastò più e capì che era tempo di dar voce al proprio io componendo lui stesso quella che sarebbe diventata, come lui stesso definisce, la colonna sonora della sua vita . Nell’autunno del 2008 uscirà “Wastelands”, (“Terre desolate”) , un progetto che ha richiesto tempo ed energie per la selezione dei testi accumulati in tanti anni di musica e la scoperta di musicisti appassionati con cui condividere il proprio sogno: i membri della 6th Avenue Band, che porta il nome di una via di Manhattan, covo musicale vicino Broadway, sono: Alessandro Golini al violino, Andrea Lazzarini alla chitarra elettrica e acustica, Davide Gasbarro al basso elettrico, Enrico Ciolini al pianoforte e tastiere, Liana Colorno e Paola Faenzi alla parte vocale, Valerio Veri con fisarmonica, tastiere e cori e Simone Rualta con chitarra acustica, elettrica, pianoforte, armonica e voce del gruppo. Segnalo il loro sito www.terredesolate.it per chiunque decida di approfondire meglio le date (il 3 Settembre saranno in concerto alla Festa dell’Unità di Grosseto) e dare un’occhiata alla scaletta. Ho avuto modo di sentirli suonare e apprezzarli e vorrei che siano in tanti ad aver l’opportunità di conoscerli. Per questo a loro la nostra stima e i migliori auguri per l’inizio di un grande lancio a lunga gittata.

venerdì 8 agosto 2008

Testa o cuore ?

Finiti gli esami di maturità. E adesso ?

Agosto è arrivato e per tutti gli ex maturandi che hanno deciso di continuare gli studi e imbattersi nell’incasinatissimo mondo universitario è tempo di scelte.
Girando per i vari forum e siti frequentati dal popolo studentesco è facile capire che di questi tempi, messi da parte gli interrogativi e le ansie che hanno preceduto la maturità, il “problema” degli studenti è quello della scelta dell’università a cui iscriversi e soprattutto della facoltà.

Farò la scelta giusta? Sarà quella definitiva? E’difficile? Troverò lavoro? Queste sono le tipiche domande che un po’tutti si fanno quando il momento del “si” è imminente.

Molto probabilmente quello che fa più paura è il trovarsi di fronte a qualcosa di “nuovo”, quel classico disagio che si prova nell’affrontare per la prima volta qualcosa di sconosciuto.
L’università è un mondo completamente nuovo e se vogliamo anche più complicato rispetto all’ambiente “casalingo” della scuola superiore. Ci sono più responsabilità e non c’è più il professore che con scadenze, interrogazioni, valutazioni intermedie e scrutini indica quali sono i “tempi” giusti di percorrenza dell’autostrada “scuola”. Non ci sono più regole da rispettare, compiti in classe da saltare, entrate alla seconda ora. C’è liberta. Libertà di non presentarsi agli appelli d’esame, libertà di starsene in giro quando invece si dovrebbe stare a lezione, libertà di prendere appunti durante la spiegazione oppure di sentire l’ultima canzone del proprio gruppo preferito con l’iPod nelle orecchie. Credete forse che il professore in un aula con 150 persone si interessi a voi?Si è liberi. Liberi di fare qualsiasi cosa in qualsiasi momento. Ma come ben sappiamo la libertà ha un prezzo. Si chiama “coscienza”. Quelli che non sono dotati di questo optional sono quei “ragazzotti” che vedrete con qualche capello bianco ancora seduti sulle scale della facoltà. A voi la scelta.

Ma torniamo a noi. Il titolo, così ambiguo, potrebbe anche ricordare una scelta d’amore. Seguire la testa o il cuore? No, non preparatevi a sentire qualche gossip cavernicolo perché non ne abbiamo (forse chissà, tra qualche tempo apriremo anche la posta del cuore, mai dire mai… ndr)!
La testa o il cuore riguarda infatti la fatidica scelta: seguo le mie passioni, i miei sogni, cerco di costruirmi un futuro “felice” oppure seguo i consigli dei miei genitori, dei miei amici più grandi, di qualche professore che solo per il fatto di avere qualche anno più di me crede di avere tutte le risposte e faccio la facoltà che in futuro mi darà più opportunità nel mondo del lavoro?L’ideale sarebbe decidere in modo totalmente autonomo senza essere influenzati da nessuno anche perché, si sa, ogni esperienza è diversa e non si può scegliere in base a qualcosa che ci viene riportato senza averlo provato direttamente sulla nostra pelle.
Come ben sappiamo non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Di conseguenza credo che sia utopico pensare che la scelta che viene fatta sia quella “giusta”sia per la testa sia per il cuore. La bilancia, seppure minimamente, pende sempre da una parte o dall’altra.
Bisogna scegliere. I forum, in questo periodo “caldo”, sono pieni di queste domande. Le risposte? Variano. C’è il ragazzo che è rimasto “scottato” da una scelta di “testa” e ora torna indietro e allora consiglia di seguire il cuore, mentre la neolaureata che ora è disoccupata si “autoaccusa” per la scelta fatta e consiglia di scegliere il famoso “posto sicuro”.

Ho scritto tanto ma nelle mie parole non c’è nessuna delle risposte che tanti cercano; non ho indicato nessuna via. Nessuna preferenza. Nessun consiglio. Niente.
E voi, proprio da quel niente dovete partire. Lasciatevi guidare.
Da chi? Da cosa?Da voi stessi. D’altronde, tanto, si sa: “del futuro non v’è certezza”.
“Siate il meglio di qualunque cosa siate”.

giovedì 7 agosto 2008

Olimpiadi: -1

Manca ormai poco alla data che l'opinione pubblica internazionale aspetta/teme, e i punti di vista si sono accavallati collezionando posizioni divergenti: Bush domani sarà presente all'apertura, prima volta che un presidente americano vi partecipa.
Dal canto italiano Gasparri, con l'appoggio del ministro del suo partito Giorgia Meloni, ha proposto provocatoriamente che fossero gli atleti a farsi carico del forfait , a loro il compito di esplicitare gesti simbolici per la libertà dei cinesi, appello inopportuno e imbarazzante a detta degli atleti stessi.
Fini ha considerato il boicottaggio una manovra inutile, ribadito in occasione del rientro dagli Eurogames degli atleti omosessuali. Ignazio La Russa non si presenterà sul terreno cinese e nemmeno il premier, che invierà il ministro degli esteri Frattini, il quale si muove sulla linea della non-politicizzazione dei giochi che obiettivamente fa sorridere, mentre il Comitato Olimpico Internazionale deplora ogni invito rivolto agli atleti affinchè non partecipino.

Cosa ne pensano gli atleti? La tedesca Duplitzer ha annunciato che non prenderà parte alla cerimonia d'inaugurazione e l'italiano ex sprinter medaglia d'oro Mennea sostiene che boicottare è un errore: è facile scaricare responsabilità sugli atleti quando i politici fino a tempi recenti si sono completamente disinteressati, anche a detta dello stesso Mennea, che partecipò a Strasburgo a una riunione plenaria su questo tema trovandovi un solo politico.

Di errori si parla, errori nel deputare Pechino come luogo per le Olimpiadi, errori nel voler attribuire agli atleti gesti competenti alle autorità politiche solo per lavarsi le mani dalle responsabilità diplomatiche.
Nel 2001, al momento dell'attribuzione della futura data dei giochi olimpici, Pechino attraversava già un calpestamento radicale dei diritti umani, sfruttava la logica dei rapporti di forza sul Tibet, aveva il triste primato mondiale di 5000 pene capitali annuali.

L'indifferenza dei politici e il problema "boicottare o no?" hanno alimentato dibattiti e le posizioni sono tuttora divergenti. Io sono del parere che non spetta agli atleti la sollevazione contro la Cina, il campo sportivo non è il luogo adatto per mostrare segni di riprovazione contro l'aberrante sistema vigente. Le Olimpiadi non devono essere luogo di scontro ideologico, ma luogo di solidarietà in cui ci si relaziona e si gareggia sportivamente. Non devono essere usate in maniera strumentale.

Si parla di guerra santa anticinese, di terrorismo, di pericolo febbrile, tutte minacce sospese nel cielo plumbeo e soffocante di Pechino che attende.

mercoledì 6 agosto 2008

Videogiochi al bando

Sempre più spesso si attua una vera e propria censura ai danni di questo media. Perché?

Sono ormai passati ben 37 anni da quando Nutting Associates metteva in commercio il primo videogioco della storia: Computer Space. Da allora, passando per Pong, Tetris e Mario, fino ad arrivare a Final Fantasy e Gears of War, il videogioco ha cercato di farsi strada, talvolta riuscendoci, tra i media dominanti. Ma il suo cammino non è stato certo facile: la sua è sempre stata, e continua ad essere, oggi più di prima, una continua lotta contro chi cerca di mettergli il bastone tra le ruote puntandogli il dito contro e accusandolo di essere la colpa di ogni male dell’umanità o la maggiore causa di violenza tra i bambini.

La verità è una sola: troppa gente incompetente si ritiene in grado di parlare di videogiochi ma soprattutto di accusarli senza aver mai preso un pad in mano.
Fiorello, che in una puntata di Viva Radio 2 - show radiofonico condotto con Marco Baldini - accusa Grand Theft Auto IV di essere un gioco il cui obiettivo è “commettere crimini per fare più punti”, minimizzando oltremodo il lavoro di Rockstar Games (casa sviluppatrice del titolo, ndr) e mettendo in secondo piano quello che il gioco ha da offrire grazie a una trama e una sceneggiatura degne di Hollywood, è l’emblema del fatto che il videogioco è ancora considerato qualcosa di inferiore agli altri media tanto che chiunque può essere libero di parlarne pur non avendo le minime competenze per farlo.

Se ci spostiamo a livelli più alti e decisamente più vicini all’industria videoludica stessa, la situazione è, in taluni casi, ugualmente grave e ha, ovviamente, conseguenze più tangibili. Citando uno dei casi più recenti, Bioshock 2, sequel di una vera e propria opera d’arte sbarcata lo scorso anno sulle console di nuova generazione e su PC (ovvero Bioshock, di cui potete leggere la recensione su XboxWay.com, ndr), rischia di non vedere mai la luce nel Regno Unito (o di arrivare nei negozi decisamente “monco” a causa di diversi tagli che ne inficerebbero la qualità) per via di un organo di classificazione (la BBFC) sempre più vicino a una vera e propria “mannaia” - che qualche anno fa aveva già colpito l’ormai famoso Manhunt 2. Non ci si limita, dunque, a vietare la vendita di un prodotto ai minori qualora questo non sia adatto a tale fetta di pubblico, ma si inizia sempre più spesso a scegliere una strada più breve, assolutamente drastica e ingiusta: la censura.

Stessa sorte di Manhunt 2 sarebbe potuta toccare a Call of Duty 4, noto gioco dall’ambientazione bellica che fortunatamente è arrivato sul mercato intatto lo scorso inverno. Meno fortunato è stato invece, in Australia, il gioco di prossima uscita Fallout 3 (targato Bethesda Softworks), letteralmente bandito dall'Ufficio per la Classificazione del Cinema e della Letteratura locale: gli amici australiani si perderanno un vero capolavoro. Semplicemente scorretto.

Certo, non siamo ancora arrivati al punto di poter dire che i videogiochi sono stati messi “al bando”, ma indubbiamente la strada che si sta cercando di intraprendere, e ne è la prova l’Australia, dove ormai si vietano due o tre giochi all’anno, non propone rosee prospettive per il futuro.

Cosa fare, dunque? Ci sono dei modi per evitare la censura? Ovvio, e per illustrarli torniamo in Europa. Qui, spesso si trascura una cosa molto importante: il PEGI (Pan European Game Information, equivalente della BBFC britannica e del ESRB americano). Si tratta di un sistema di classificazione dei prodotti videoludici che è ormai lo standard e che molti (si spera) avranno imparato a conoscere grazie ai simboli che compaiono sull’angolo inferiore sinistro e sulla facciata posteriore delle copertine di tutti i giochi.
Spesso, purtroppo, molti prodotti considerati (giustamente) dal PEGI come non adatti a un pubblico di minori vengono ugualmente venduti - o inconsapevolmente acquistati dagli stessi genitori - a bambini e ragazzini, con le ovvie conseguenze negative che il loro utilizzo può avere sulla loro psiche.

Insomma, perché non sfruttare appieno ciò che già esiste? Basterebbe pubblicizzare maggiormente il sistema PEGI (o, in generale, i vari sistemi di classificazione in vigore nelle diverse aree del globo), dargli più peso e soprattutto fare in modo che venga rispettato al momento della vendita. Niente censure in questo modo, e il pubblico adulto potrebbe godere liberamente di un nuovo, attesissimo videogioco allo stesso modo e con la stessa facilità con cui è libero di godersi una nuova pellicola cinematografica di Quentin Tarantino.

lunedì 4 agosto 2008

The Big Apple: studiare costa caro!

In America chi vuole studiare è costretto a… indebitarsi!

Sfogliando Repubblica, un articolo in particolare ha destato la mia attenzione. Nell’ambito di un reportage sulle elezioni americane è infatti saltato fuori il problema del costo dell’istruzione in America.
Mi sembra interessante parlarne soprattutto per vedere qual è la situazione dei nostri colleghi d’oltreoceano.

Il reportage, firmato da Marco Calabresi, affronta il problema attraverso la testimonianza di una giovane che ha appena concluso una scuola di legge ed è costretta a condurre una vita fatta di rinunce. “Sto attentissima a come spendo i soldi, segno su un quaderno ogni spesa che faccio, dal caffè al biglietto dell’autobus perché devo tenere ogni cosa sotto controllo se voglio arrivare alla fine del mese”.
A Washington, dove vive, non ci si è persi d’animo e si è creata una comunità che cerca di affrontare insieme i problemi trovando soluzioni “creative”. Una sua tutte? Invece di andare al cinema ci si riunisce a casa di qualcuno, si noleggia un DVD e si dividono le spese.
Ma come mai Carrie, la protagonista del reportage, e tanti altri suoi “colleghi” si trovano in queste condizioni?
Il problema si chiama “debito”. Debito? Si, debito! Quel debito che opprime la maggior parte dei giovani che hanno deciso di studiare nelle scuole di medicina, legge e business.
I dati parlano chiaro: l’80% degli studenti che hanno terminato un master in legge hanno un debito pari a 77 mila dollari se hanno studiato in una scuola privata mentre si “scende”a 50 mila dollari se hanno studiato in una struttura pubblica,

Sono pienamente d’accordo con Carrie quando afferma che “questi dati sono una sconfitta per l’America e per tutti”. Il diritto allo studio credo sia fondamentale per poter sperare in un futuro migliore. Perché non dare a tutti la possibilità di “provarci”?

In questo paesaggio pieno di nuvole è però spuntato un piccolo raggio di sole: Barack Obama ha infatti dato spazio al problema promettendo di risolvere la situazione: sgravi fiscali a tutti i neolaureati in cambio di 100 ore annuali di servizio civile.
Sarò solo uno “slancio elettorale”oppure Barack riuscirà veramente a risolvere il problema e si ricorderà di questi “dottori” anche dopo le elezioni?

Fonte: Repubblica

sabato 2 agosto 2008

"Alla salute"... ci tengo!



Sanzioni più severe per chi guida in stato di ebbrezza: cosa ne pensano gli studenti?

Tempi duri per i fan dell’alcool: nuove norme e sanzioni più severe per chi guida in stato di ebbrezza.
Sembra un vecchio ricordo lo stornello romano in cui Alvaro Amici cantava: “Oste, versace n’altro litro…”. Con l’aumento dei controlli e l’inasprimento delle sentenze, tutti quelli che risultano positivi al test dell’alcool ora rischiano seriamente di rimanere… a piedi. Confisca immediata del mezzo e ritiro della patente per tutti quelli che “osano”.

Ma c’è bisogno veramente di “bere” per divertirsi? In discoteca la consumazione alcolica diventa veramente un obbligo? Qual è il rischio per chi non beve? Per chi si ritrova a esser dall’altra parte? Forse rischia di essere considerato non alla moda, di essere “l’escluso” della serata solo perché non si diverte a esagerare. Perché una vodka e non un succo di frutta? E’da sfigati?

Non ditemi che per la maggior parte fare uso di alcool è un “piacere”: non ci credo. La percentuale di chi beve per piacere è bassa, il resto beve perché “fa moda”, perché “ci si diverte di più”, perché con fiumi d’alcool che scorrono nelle vene è anche più semplice approcciarsi alla ragazza che balla vicino a noi, la nostra compagna di università alla quale non abbiamo mai avuto il coraggio di dichiararci. Siamo veramente scesi così in basso?

Le statistiche parlano chiaro: rispetto al 2007 sono aumentate le morti a causa di incidenti stradali dovuti alla guida in stato di ebbrezza. Sempre più persone perdono la vita per colpa di qualcuno che molto probabilmente non si rende conto di quanto sia “semplice” non mettere in pericolo la sua stessa vita e quella degli altri. Basterebbe limitarsi nel bere oppure, ancora meglio, evitare di guidare se si è alzato un po’ il gomito affidando la propria auto (e la vita) al cosiddetto “Bobby”, il guidatore che decide di “sacrificarsi” e non bere per riportare a casa la pelle e far sì che una serata divertente non si trasformi in una tragedia.

E’anche vero che con l’inasprimento delle sanzioni ora si rischia di dover rinunciare alla patente anche per aver bevuto il classico amaro post pranzo. Come dire… “per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno…”

E’giusto? E’sbagliato? Funzionerà?