Dagli anni 80 ad oggi, dalla Svizzera fino in Australia e al Canada:
Viaggio tra storia, sviluppo ed integrazione delle SIR.
di Sandro Trunzo
Era il 1996 quando la prima proposta in Italia relativa alla creazione sul territorio delle SIR, acronimo di Safe Injection Rooms, camere del consumo, scatenò la reazione di politici e istituzioni, persino la Comunità di San Patrignano volle esprimersi, con toni non proprio consoni e rispettosi, a riguardo.
La proposta, avanzata due anni or sono dai consiglieri della regione Toscana dell'area Ds, Prc, Verdi ,Sdi e Comunisti Italiani , si arenò causa anche l'entrata in vigore della discussa legge Fini-Giovanardi nonché le difficoltà tra gli stessi membri della maggioranza di allora.
Perché tale proposta ha suscitato in Italia un ampio dibattito, che altro non lascia se non un silenzio su proposte che mediaticamente suscitano l'interesse di qualsiasi politico, movimenti vari, o comune cittadino ?
Per rispondere a tale quesito, ho preferito ricorrere alla consultazione del dossier messo a punto dalla dottoressa Mariella Orsi, responsabile del CeSDA, Centro Studi e Documentazioni sulle Dipendenze e AIDS.
Elaborato in seguito alla proposta avanzata in Toscana, il dossier ha l'obiettivo di raccogliere esperienze e studi svolti in altri Stati europei e non, dove, come vedremo analizzando il dossier, l'istituzione delle SIR non è tabù, anzi, se ne ricalcano gli aspetti positivi a partire dal contesto sociale.
COSA SONO
Le stanze del consumo sono dei locali in cui è possibile assumere droghe in maniera legale, in condizioni igieniche sicure, con la presenza di personale qualificato (medici, infermieri), al fine di intervenire nel caso dovessero verificarsi complicazioni post-assunzione.
L' OBIETTIVO
Il principale obiettivo rimane, nonostante l'evoluzione che le strutture hanno poi subìto nel tempo dal punto di vista strutturale e dei servizi, quello di creare condizioni igieniche ottimali, e al tempo stesso assicurare al tossicodipendente un punto di riferimento per assolvere all'assuefazione del proprio fisico dal veleno che imperterrito lo costringe ad un isolamento sociale estremo.
Inoltre la creazione di strutture idonee evita il consumo nei luoghi aperti, con tutto ciò che comporta (basti citare il parco Stura a Torino), con siringhe per terra nei luoghi di tutti e di nessuno, di vita e di morte.
CRONOSTORIA
1986: Nascono in Svizzera le prime Sir, causa la diffusione del virus AIDS/HIV ed il dilagante effetto dell'assumere droghe nei luoghi pubblici. Parallelamente, prendono in via le prime campagne di scambio siringhe.
1985-1990: Anche in Germania, Olanda e Spagna vengono istituite le prime SIR, mentre in Svizzera il numero di strutture è in progressivo aumento.
2000: Australia e Canada si dimostrano favorevoli all'istituzione, espandendone così oltreoceano la diffusione.
Lussemburgo e Norvegia si sono aggiunte recentemente all'elenco, mentre in altri Stati (vedi Francia, Irlanda, Danimarca) la discussione è ancora aperta. Da ricordare che in Italia, nel 2003, venne avanzata la disponibilità di gestire un'esperienza simile dal responsabile di una comunità per tossicodipendenti, altra proposta bloccata dalle istituzioni.
IN SINTESI
Le SIR , nate strutturalmente come servizio esclusivo per i tossicodipendenti, spesso si sono evolute in centri multifunzionali (vedi Abd, in Spagna, della quale parleremo tra poco), o sono stati inglobati all'interno di altri servizi sociali.
Le conclusioni possono concretizzarsi nel rapporto dell'Osservatorio Europeo di Lisbona del 2004, che proprio sulle SIR analizza i dati di 15 studi.
Emerge un quadro che va dall'individuazione di quali soggetti ricorrono maggiormente alle SIR, tossicodipendenti senzatetto che non hanno mai avuto contatti con i servizi, ai vantaggi dei quali accennavamo all'inizio dal punto di vista sociale, direttamente proporzionali all'integrazione della struttura all'interno della comunità locale.
La Narcosala di Barcellona
Quartiere Raval, Barcellona.
Tra le opere d'arte, la casa, la Chiesa della Sagrada Familia ancora in costruzione, tutto firmato Gaudì, prende forma il quartiere Raval, l'altra faccia di una metropoli intrisa di fluidi turistici e l'altro volto del quartiere gotico, divisi dalla Rambla.
É proprio nel centro di Barcellona, nel quartiere Raval, che nasce la sala Baluard, un servizio socio-sanitario pubblico che è anche la più grande narcosala della capitale catalana.
Esther Henar, fondatrice della sala Baluard e Alejandra Pineva, lavorano per Abd, Associazione Benessere Desarollo (sviluppo), un'organizzazione non governativa spagnola che si occupa di progetti di protezione, promozione e autonomia delle persone in difficoltà.
Nata negli anni '80 quando anche in Spagna fece irruzione l'uso della droga, e successivamente la diffusione dell'Aids tra i tossicodipendenti, come unità mobili nelle quali poter trovare assistenza, negli anni hanno ampliato il loro raggio d'azione promuovendo, tra l'altro, anche un progetto per le donne tossicodipendenti in gravidanza.
Il grave stato in cui versano le donne a pochi mesi dal parto viene affrontato offrendo sostegno psicologico e avviando un graduale accompagnamento al metadone.
La sala Baluard è aperta 24h su 24h, con tre turni da 8h, ed oltre ai volontari può contare su circa 50 professionisti tra medici, infermieri, assistenti sociali con i quali poter intraprendere percorsi di recupero, che garantiscono “un presidio costante, apprezzato non solo dai consumatori di sostanze, ma anche dalla gente del quartiere che ha visto migliorare la vivibilità del Raval”...Parole di Esther Henar.
Come considerare, alla luce di quanto ho letto, il rifiuto a priori di queste strutture in Italia?
Quali potrebbero essere alternative percorribili ed integrative dal punto di vista sociale?
Che il dibattito abbia inizio....
Riferimenti bibliografici:
-La bassa soglia nella rete dei servizi_ L'esperienza delle Safe Injecting Rooms
Dossier di documentazione a cura del CeSDA in collaborazione con Fuoriluogo
- Narcosale _ Esperienze per il futuro
Liberazione_Edizione serale_Anno XVIII n°227_ Red. Soc.
domenica 28 settembre 2008
martedì 16 settembre 2008
Carità o business ?
di Sandro Trunzo
Si chiama Paul Polak, ha 70 anni, ed è il fondatore dell' International Development Enterprises.
Scritto così, non è ben chiaro chi sia questo personaggio e cosa abbia realmente fondato.
Ma con una breve ricerca, vedrete accostato al nome di questo psichiatra, la dicitura di filantropo glamour.
Paul Polak infatti è il fondatore di una Ong, la IDE appunto, che opera in 9 Paesi, conta 600 impiegati e ambisce a dare una mano nella lotta alla povertà con modi e metodi alquanto discutibili, ma efficienti; tecnologie low cost, in grado di cambiare l'esistenza di contadini e pastori dei paesi poveri.
Sabina Minardi, sull'Espresso n. 31 del 7 agosto, quasi in un'intervista fiume, cerca di scoprire cosa si celi dietro a questo metodo di affrontare la povertà, innovativo, ma seppur con una chiara ombra di business.
La cannuccia che con speciali filtri purifica l'acqua di una pozzanghera, raccoglitori d'acqua piovana, la pompa idraulica al costo di soli 25 dollari, sono solo alcune delle tecnologie semplici ma con un livello di efficienza elevato per popolazioni che vivono con un dollaro al giorno.
Il business efficiente. La chiave di volta della lotta alla povertà.
Tecniche al servizio delle popolazioni con costi accessibili, sì, ma comunque volte all'introito economico.
Eccola allora la risposta di Polak, quando la Minardi chiede se sia eticamente discutibile parlare di business e guadagnare sulla povertà.
“Io credo che un business internazionale che crei opportunità per la gente più povera abbia un impatto molto positivo per il futuro del pianeta. Lo sforzo, semmai, è quello di trovare come attirare investimenti. Questo è un mercato vergine, dove ancora tutto è da dimostrare: non è così evidente che si possano trarre profitti da investimenti in questi campi”.
In alcuni tratti dell'intervista sembrano fondersi le due anime, quella di psichiatra e quella di non proprio definibile uomo d'affari.
Sta di fatto che incrociare i diversi interessi di chi produce, chi realizza, distribuisce ed usa tali prodotti è un successo che gli si deve attribuire, (o che non gli si può negare).
Snocciola dati, si chiede perchè le multinazionali progettino solo per il 10% dei consumatori, quando il 90% è ancora tutto da intercettare; sostiene che la crescita della popolazione mondiale da 6 miliardi di individui a 9 avverrà in paesi dove già sono innumerevoli le persone che vivono con meno di un dollaro al giorno. Allora perchè non avviare un progetto, fragile a priori ma concreto, visti i risultati.
Discutibili, sicuramente, modi, metodi e toni, dell' Ong di Polak, ma quanto mai capaci di ramificarsi e combattere la lotta alla povertà.
Quanto sia sostenibile un'idea simile lo si potrà evincere dai vostri commenti...
Si chiama Paul Polak, ha 70 anni, ed è il fondatore dell' International Development Enterprises.
Scritto così, non è ben chiaro chi sia questo personaggio e cosa abbia realmente fondato.
Ma con una breve ricerca, vedrete accostato al nome di questo psichiatra, la dicitura di filantropo glamour.
Paul Polak infatti è il fondatore di una Ong, la IDE appunto, che opera in 9 Paesi, conta 600 impiegati e ambisce a dare una mano nella lotta alla povertà con modi e metodi alquanto discutibili, ma efficienti; tecnologie low cost, in grado di cambiare l'esistenza di contadini e pastori dei paesi poveri.
Sabina Minardi, sull'Espresso n. 31 del 7 agosto, quasi in un'intervista fiume, cerca di scoprire cosa si celi dietro a questo metodo di affrontare la povertà, innovativo, ma seppur con una chiara ombra di business.
La cannuccia che con speciali filtri purifica l'acqua di una pozzanghera, raccoglitori d'acqua piovana, la pompa idraulica al costo di soli 25 dollari, sono solo alcune delle tecnologie semplici ma con un livello di efficienza elevato per popolazioni che vivono con un dollaro al giorno.
Il business efficiente. La chiave di volta della lotta alla povertà.
Tecniche al servizio delle popolazioni con costi accessibili, sì, ma comunque volte all'introito economico.
Eccola allora la risposta di Polak, quando la Minardi chiede se sia eticamente discutibile parlare di business e guadagnare sulla povertà.
“Io credo che un business internazionale che crei opportunità per la gente più povera abbia un impatto molto positivo per il futuro del pianeta. Lo sforzo, semmai, è quello di trovare come attirare investimenti. Questo è un mercato vergine, dove ancora tutto è da dimostrare: non è così evidente che si possano trarre profitti da investimenti in questi campi”.
In alcuni tratti dell'intervista sembrano fondersi le due anime, quella di psichiatra e quella di non proprio definibile uomo d'affari.
Sta di fatto che incrociare i diversi interessi di chi produce, chi realizza, distribuisce ed usa tali prodotti è un successo che gli si deve attribuire, (o che non gli si può negare).
Snocciola dati, si chiede perchè le multinazionali progettino solo per il 10% dei consumatori, quando il 90% è ancora tutto da intercettare; sostiene che la crescita della popolazione mondiale da 6 miliardi di individui a 9 avverrà in paesi dove già sono innumerevoli le persone che vivono con meno di un dollaro al giorno. Allora perchè non avviare un progetto, fragile a priori ma concreto, visti i risultati.
Discutibili, sicuramente, modi, metodi e toni, dell' Ong di Polak, ma quanto mai capaci di ramificarsi e combattere la lotta alla povertà.
Quanto sia sostenibile un'idea simile lo si potrà evincere dai vostri commenti...
venerdì 12 settembre 2008
L'aeroporto di Ciampino si trasferisce
Il 10 settembre Enac ( Ente nazionale Aviazione Civile) e Adr( Aeroporti di Roma)hanno firmato l'accordo che porterà alla concessione della gestione dello scalo a Viterbo, e la conseguenza sarà l'imminente chiusura dell'aeroporto di Ciampino prevista per il 2011. La piena attività del neonato aeroporto non sarà operativa prima del 2025, con una capienza di circa 12 milioni di passeggeri l'anno. La spesa destinata sarà di 200 milioni di euro e le prime tappe saranno la progettazione del sistema di volo, il piano ambientale, la gara, la progettazione delle infrastrutture, il piano territoriale da decidere col Comune , un primo segno di tutto questo, tra un anno e mezzo.
Hanno detto i vertici di Enac che il primo problema ora sono gli innesti, per non fare dell'aeroporto viterbese una cattedrale nel deserto;Vito Riggio assicura che il giorno in cui aprirà l'aeroporto ci dovrà essere il collegamento col treno per arrivare a Roma in tempo stimato 45 minuti...
lunedì 8 settembre 2008
Diretto'io andrò in Paradiso
Storie dal carcere minorile di Nisida
Un’isoletta nel golfo di Napoli: Nisida. Un carcere minorile. Un giornalista che decide di calarsi in questa realtà così difficile.
Questo è “Diretto’io andrò in Paradiso”, un libro scritto da un giornalista romano, Pino Ciociola, inviato di Avvenire, che ha deciso di condividere per alcuni giorni con i ragazzi detenuti, la vita del carcere.
Un libro che non giudica, ma che racconta la vita di questi ragazzi che non hanno ancora compiuto la maggiore età ma già si ritrovano con la fedina penale sporca. Spaccio di droga, furti, e tanto altro: questa è la strada che hanno scelto per uscire dalla condizione di estrema povertà, materiale ed affettiva, che caratterizza le loro vite. Una rotta sbagliata ma non definitiva per chi si è reso conto che forse il futuro può offrire qualcosa di meglio, quella vita che va costruita giorno dopo giorno, rendendosi conto degli errori e facendo di tutto per non ricascare nel baratro. Il libro racconta infatti anche di qualche ragazzo che ce l’ha fatta ed ora vive una vita “normale”, memore degli errori del passato.
La chance per “ricominciare” è quella che viene data a questi ragazzi da chi a Nisida ci lavora. A partire dal direttore, tutti hanno come obiettivo la “crescita” di questi ragazzi, cercando di renderli consapevoli degli errori commessi e dandogli la possibilità di rimediare. Un capitolo del libro è dedicato proprio a Pina e Zio Peppe che da più di trent’anni gestiscono la cucina del carcere e negli anni sono diventati un vero e proprio punto di riferimento per i ragazzi. Ogni anno questi due signori infatti, ospitano nella loro casa per le feste natalizie alcuni di questi ragazzi dandogli così la possibilità di passare un Natale "diverso", visto che molti di loro una famiglia nemmeno ce l'hanno.
Nisida è anche concretezza: sono in corso infatti moltissimi progetti che aiutano i ragazzi ad inserirsi nel mondo del lavoro abituandoli gradualmente a prendere contatto con la realtà al di fuori delle mura del carcere di Nisida. Uno su tutti, è il “Progetto Jonathan-Indesit company”, che offre la possibilità ad alcuni dei ragazzi di lavorare nelle fabbriche dell’Indesit. Sponsorizzato dal 1988 da Vittorio Merloni, indica come sia forte la voglia di offrire un’occasione a chi non ne ha mai avute. Esemplare la risposta data dalla famiglia Merloni e dalla comunità a chi non vedeva di buon occhio quest’iniziativa.:” I vostri figli però hanno avuto la possibilità di studiare e grazie al vostro esempio anche di capire che si può costruire una vita onesta e dignitosa. Questi ragazzini no. Mai. Aiutateci a cercarla.” Molti genitori infatti quando partì il progetto si lamentarono perché mentre i loro figli non riuscivano a trovare lavoro c’era chi, pur avendo commesso un reato, aveva la possibilità di lavorare.
Un libro tutto da leggere che sicuramente fa riflettere da un punto di vista “nuovo”. L’autore, infatti, non si mette dalla parte di chi “giudica”: cerca di “capire” una realtà diversa da quella che siamo abituati a vivere ogni giorno.
Per chi avesse voglia di approfondire...
Diretto'io andrò in Paradiso
storie dal carcere minorile di Nisida
Casa editrice: Ancora
Prezzo: 11 euro
Un’isoletta nel golfo di Napoli: Nisida. Un carcere minorile. Un giornalista che decide di calarsi in questa realtà così difficile.
Questo è “Diretto’io andrò in Paradiso”, un libro scritto da un giornalista romano, Pino Ciociola, inviato di Avvenire, che ha deciso di condividere per alcuni giorni con i ragazzi detenuti, la vita del carcere.
Un libro che non giudica, ma che racconta la vita di questi ragazzi che non hanno ancora compiuto la maggiore età ma già si ritrovano con la fedina penale sporca. Spaccio di droga, furti, e tanto altro: questa è la strada che hanno scelto per uscire dalla condizione di estrema povertà, materiale ed affettiva, che caratterizza le loro vite. Una rotta sbagliata ma non definitiva per chi si è reso conto che forse il futuro può offrire qualcosa di meglio, quella vita che va costruita giorno dopo giorno, rendendosi conto degli errori e facendo di tutto per non ricascare nel baratro. Il libro racconta infatti anche di qualche ragazzo che ce l’ha fatta ed ora vive una vita “normale”, memore degli errori del passato.
La chance per “ricominciare” è quella che viene data a questi ragazzi da chi a Nisida ci lavora. A partire dal direttore, tutti hanno come obiettivo la “crescita” di questi ragazzi, cercando di renderli consapevoli degli errori commessi e dandogli la possibilità di rimediare. Un capitolo del libro è dedicato proprio a Pina e Zio Peppe che da più di trent’anni gestiscono la cucina del carcere e negli anni sono diventati un vero e proprio punto di riferimento per i ragazzi. Ogni anno questi due signori infatti, ospitano nella loro casa per le feste natalizie alcuni di questi ragazzi dandogli così la possibilità di passare un Natale "diverso", visto che molti di loro una famiglia nemmeno ce l'hanno.
Nisida è anche concretezza: sono in corso infatti moltissimi progetti che aiutano i ragazzi ad inserirsi nel mondo del lavoro abituandoli gradualmente a prendere contatto con la realtà al di fuori delle mura del carcere di Nisida. Uno su tutti, è il “Progetto Jonathan-Indesit company”, che offre la possibilità ad alcuni dei ragazzi di lavorare nelle fabbriche dell’Indesit. Sponsorizzato dal 1988 da Vittorio Merloni, indica come sia forte la voglia di offrire un’occasione a chi non ne ha mai avute. Esemplare la risposta data dalla famiglia Merloni e dalla comunità a chi non vedeva di buon occhio quest’iniziativa.:” I vostri figli però hanno avuto la possibilità di studiare e grazie al vostro esempio anche di capire che si può costruire una vita onesta e dignitosa. Questi ragazzini no. Mai. Aiutateci a cercarla.” Molti genitori infatti quando partì il progetto si lamentarono perché mentre i loro figli non riuscivano a trovare lavoro c’era chi, pur avendo commesso un reato, aveva la possibilità di lavorare.
Un libro tutto da leggere che sicuramente fa riflettere da un punto di vista “nuovo”. L’autore, infatti, non si mette dalla parte di chi “giudica”: cerca di “capire” una realtà diversa da quella che siamo abituati a vivere ogni giorno.
Per chi avesse voglia di approfondire...
Diretto'io andrò in Paradiso
storie dal carcere minorile di Nisida
Casa editrice: Ancora
Prezzo: 11 euro
mercoledì 3 settembre 2008
il calcio oggi una macchia scura
Il più antico e rudimentale calcio nacque in Giappone e in Cina senza pretese se non quella di esprimere se stesso con dei giocatori , una palla, due reti e piano piano evolvendosi ha raggiunto la sua autodefinizione e si è conformato alle regole che gli son state date. Il calcio non può sopravvivere senza la sua tifoseria, senza quella voglia che spinge ad andare allo stadio o semplicemente sedersi tutti insieme a guardare lo scontro con la speranza che la squadra preferita vinca. Giocano e si affrontano squadre di stati diversi, realtà talvolta opposte, spinte dalla molla del gioco, del divertimento, perchè in fondo, di questo si tratta o perlomeno si è trattato all'inizio ma oggi sempre più questo sogno si è "colorito"di macchie che sono milioni di euro, diritti televisivi, imbrogli, arbitri disposti a favorireggiamento, rigori concessi piovuti dal nulla, tifosi teppisti che in trasferte si permettono o si sentono in diritto di dover lasciare tracce del loro passaggio e la collettività deve pagare, come al solito. La trasferta dei tifosi a Roma ha suscitato, giustamente, riprovazione e scandalo per il clima di distruzione che ha portato. Con manganelli alla mano, migliaia di euro di danni son stati fatti, vetri del treno in mille pezzi, rovinati sotto lo sguardo di chi semplicemente doveva recarsi a Roma per lavoro o per visita e si è ritrovato a subìre passivo e scomodarsi a causa di queste indecenti personalità. 5 di loro son stati presi e poi rilasciati e oggi è in corso la riunione dell'Osservatorio del Viminale che renderà ufficiali il divieto per le trasferte ai tifosi del Napoli e accusa di associazione a delinquere e interdizione di un anno dagli stadi per coloro i quali hanno effettuato atti violenti. Il capo della polizia Manganelli sostiene che dietro agli incidenti selvaggi c'è dietro la criminalità organizzata e il questore Puglisi lo afferma quasi con certezza. Nel pomeriggio, in procura verranno vagliate valutazioni più accurate. Sicuramente bisogna prendere misure efficaci per far sì che non accadano più tali gravi atti di violenza, a prescindere se sia coinvolta la mafìa o no. BASTA CON LA VIOLENZA NEGLI STADI. Il calcio non può vivere con questo spirito di manganelli, sabotaggi e uccisioni, tanto vale chiudere tutto se deve sopravvivere in questo modo. Secondo voi è giusto che i tifosi napoletani non possano recarsi più allo stadio o la trovate estrema come decisione?Cosa pensate potrebbe essere esemplare come punizione?
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